mercoledì 5 ottobre 2011

Camminate gente, camminate!

Botanici da marciapiede, Flaneur. Così li battezzò Charles Baudelaire inventando un neologismo per indicare i nuovi esploratori delle città del XIX secolo. Gentiluomini che senza un programma preciso e senza fretta vagavano per le vie della città per scoprirla. Il primo a proporre il flaneurismo come metodo di indagine architettonica fu il filosofo Walter Benjamin; andare a zonzo per la città doveva essere un metodo per approcciarsi agli aspetti psicologici della costruzione degli edifici.

Ne è nata anche una corrente architettonica. L'architetto americano Jon Jerde ha iniziato a progettare i suoi edifici con l'intento di sorprendere il fruitore; creare sorprese, aspettative o distrazioni procedendo all'interno (e all'esterno) delle sue opere.

L' intentzione è quella di creare stupore e curiosità nelle persone che passeggiano nell'edificio, straniarlo, farlo perdere negli angoli o tra i colori affinché proceda alla scoperta di esso.

Negli anni '50 poi il movimento di avanguardia dei Lettristi introduce la Psicogeografia, un altro metodo di indagine dello spazio urbano, molto simile al flaneurismo. Partendo dal presupposto che l'utilizzo e lo sviluppo degli ambienti urbani erano una coercizione da parte della classe dominante rispetto ai cittadini, la psicogeografia si basava sullo studio degli effetti precisi dell'ambiente geografico, disposto coscentemente o meno, sul comportamento affettivo degli individui. Questo faceva si che si mettesse in discussione l'urbanistica per ridefinire gli spazi urbani. Il regista Guy Debord suggeriva il gioco della "deriva psicogeografica":

« Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l'alto, in modo da portare al centro del campo visivo l'architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari ».
Oggi qualcuno si occupa ancora di indagini urbane "dirette" camminando e toccando con mano (e coi piedi) le periferie, i bordi, i margini delle nostre città?
Vi cito tre ricerche che trovo particolarmente significative. La prima è stata compiuta da uno scrittore e film maker inglese, Ian Sinclair che ha esplorato tutto il margine di Londra, dove per margine ha inteso la strada a sei corsie (la M25) che corre tutto attorno alla capitale inglese. Da questa indagine ne ha tratto un libro e un documentario intitolati London Orbital.
Sinclair ha fatto tutto questa "circumnavigazione" di Londra a piedi raccontando tutto ciò che ha visto e sentito.
Una cosa simile è stata compiuta poco più di un anno fa da Gianni Biondillo, architetto e scrittore, insieme a Michele Monina, giornalista in un libro intitolato Tangenziali.
 I due hanno riproposto l'esperienza di Sinclair per la città di Milano ma a due voci. In questo libro i due scrittori hanno dato per ogni tappa percorsa a piedi, una loro lettura; quella di Biondillo con l'occhio dell'architetto e quella di Monina con l'obbiettività e il sarcasmo del giornalista.
La terza è completamente diversa: è una indagine fotografica pubblicata qualche anno fa da Gabriele Basilico, fotografo ma prima di tutto architetto.


Il libro è intitolato Scattered City, città diffusa, e testimonia la crescita smisurata che hanno avuto le metropoli europee negli ultimi anni (quelli prima della crisi) che ha prodotto periferie dormitorio, fagocitato i comuni del cosiddetto hinterland e divornado territorio fino quasi a collegare le metropoli tra loro tramite le costruzioni sui bordi delle principali arterie autostradali.
Questo infinito panegirico di citazioni colte e leziose molto da "sotuttoio" ve l'ho fatto perché?


Perché in questo particolare momento storico caratterizzato da una crisi economica senza precedenti, che ha letteralmente fermato l'edilizia e il mercato immobiliare, mi piacerebbe che tutti ci facessimo una passeggiata e guardassimo ciò che è stato fatto fino ad adesso e riflettessimo.
Non solo gli amministratori, i politici, gli architetti e gli urbanisti, ma soprattutto chi non è nel settore, chi vive il tessuto urbano, chi abita, chi non specula ma chi dovrà farci vivere i propri figli e i propri nipoti.
Non una deriva psicogeografica, ma una passeggiata, anche in macchina, osservando come abbiamo lasciato divorare il territorio da costruzioni che ora sono invendute, sfitte o da capannoni di ditte fallite, scatole di cemento insulse e pesanti spesso fatte solamente per immobilizzare denaro.
Una passeggiata non per interpretare ciò che è stato ma per pensare a come, quando ripartirà l'economia, dovrà esserci più rispetto, più qualità negli interventi sul nostro territorio.
Dovremo pensare a riutilizzare, a recuperare, a costruire col principio della Reversibilità e a sognare che se è vero che la nostra economia è purtroppo fondata sul patrimonio immobiliare, almeno di investire in architettura di qualità e a salvaguardare un paesaggio che appartiene soprattutto a noi e non al denaro.


D.C.

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