domenica 18 settembre 2011

PAST MODERN


Il Postmodernismo è morto. A darne notizia ufficiale è il Victoria & Albert Museum di Londra che, dal 24 Settembre 2011 al 12 Gennaio 2012 inaugurerà la “prima retrospettiva globale” intitolata Postmodern – Style and Subversion1970 -1990. 

 La notizia mi colpisce soprattutto per un motivo: come scrive Edward Docx su La Repubblica del 03/09/11 “ […] che cosa è stato il postmoderno dopo tutto? Non l’ho mai capito. Come è possibile che sia finito?”


Potremmo dire che Il postmodernismo è stata una rivolta chiassosa alle certezze lineari del Moderno - volutamente ironica, ambigua ed in bilico tra convenzione ed eccezione; ha abbracciato tutte le situazioni possibili al mondo, sposato la mescolanza e destabilizzato l’unicità del “buon gusto comune”. 
In Architettura Robert Venturi parla della necessità di adottare un atteggiamento aperto alle diverse istanze, anche se formalmente inconciliabili e tra loro in aperta contraddizione (Complexity and contradiction in Architecture del 1966); egli sottolinea l’importanza di imparare dalla storia – tutta la storia – desumendone una lezione aperta, senza privilegiarne una posizione a discapito di altre. Includere, non più escludere. Altro che Less is more! Ora si grida Less is a bore, a mess is more!


Con l’avvento degli anni 80 quello che era nato come movimento radicale si trasforma in designer decade nella quale ogni cosa è una colorata istanza formale; un tentativo di conciliare idee sovversive con un appeal commerciale: è il caso di Ettore Sottsass e della innovativa produzione del collettivo Memphis


E’ indubbio che il Postmoderno abbia lasciato un’impronta indelebile sulla realtà nella quale viviamo, nel modo in cui la interpretiamo e nel modo in cui ad essa ci approciamo; la contaminazione è una pratica creativa all’ordine del giorno: arte, design, architettura, cucina, scrittura, musica e moda sono costantemente influenzate da altre discipline.
La tecnologia tanto cara a Venturi ed Il web (lo strumento postmoderno per eccellenza, basti pensare ai social network ed alle applicazione per i moderni smarthpone e tablet) hanno favorito la commistione e la libera condivisione dei saperi. Tutto è a portata di mano, telecomando, mouse e touchscreen: Lady Gaga e Michelangelo, i fumetti di Pazienza e le opere di Bulgakov, le clip di MTV e Ben Hur sono disponibili in egual misura ed in egual misura validi. 

“[..] the modernist wanted to open a  window onto a new world. Postmodernism, by contrast, was more like a broken mirror, a reflecting surface made of many fragments.”  Introduzione alla mostra  al V&A Museum

Il Postmoderno è ovunque. il Postmoderno è adesso.
Come possiamo dire, dunque, che è giunto alla fine? 

Paradossalmente, quando ogni istanza teorica è plausibile, quando non vi è sono differenze di valore tutto tende a mescolarsi - indefinito -nel panorama generale. Una conseguenza di questa situazione è la sempre più marcata ricerca del gesto, dell'iconico che possano testimoniare la nostra unicità.
L’architettura si è talvolta abbandonata a questo ricercato protagonismo ed al gesto ero(t)ico; derive del postmoderno, verso le quali lo stesso Venturi era apertamente critico: “ Un’aspra – o sfacciata – descrizione complementare dell’architettura di fine secolo: [..] Giustificare una concettualizzazione, una dematerializzazione dell’architettura attraverso pompose ed esoteriche trasformazioni teoriche, inapplicabili vacuità prese a prestito in maniera discutibile da altre discipline. Scambiare la polemica per la teoria, l’ideologia per sensibilità, dove contenuti e relazioni alla fine evocano l’Imperatore Nudo.” 

L’affermazione di tante e diverse istanze contemporanee non è in grado di fornire risposte riguardo al mondo in cui viviamo. In tempo di crisi – come oggi - cerchiamo di aggrapparci a certezze che sono state puntualmente  demolite; la rinnovata attenzione per il local, il kilometro zero, la rinnovabilità e sostenibilità delle risorse, il riciclo sono alcune delle risposte alla richiesta di maggiore autenticità verso le quali il sentimento comune pare stia muovendosi. 
Oggi anche l'architettura -come del resto il design -è impegnata nel tentativo di rinnovarsi e ripensarsi, cercando nuovi contenuti etici – in linea con la riflessione generale dovuta alla crisi – e formali.


Scrive Docx nel suo articolo: “Esiste inoltre un paradosso parallelo, in politica e in filosofia. Se deprivilegiamo tutte le posizioni, non possiamo affermare alcuna posizione, pertanto non possiamo prendere parte alla società e quindi, in definitiva, un postmodernismo aggressivo diventa indistinguibile da una specie di conservatorismo”

S.D.

3 commenti:

  1. L'impatto zero, la sostenibilità, il glocal sono autentici? Sono oltre il postmoderno? Non sono solo sintomo di un estetismo differente ma comunque estetismo e non etica? Non fanno ancora parte dell'estetizzazione della vita quotidiana- principio cardine del postmoderno?
    Fin dalla nascita il postmoderno viene dichiarato morto, finito, sorpassato. L'anno scorso si parlava dell'avvento di un nuovo periodo: "le creolism". La morte fa parte dell'esistenza del postmoderno, perchè questo riassume in sé per definizione tutte le antinomie.
    e dopo questo mare di boiate vi saluto.
    Carmen

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  2. La mia impressione è che al di là di qualsiasi giudizio di merito le varie correnti della green wave (impatto zero, sostenibilità, glocal, ecc..)siano autentiche perché necessarie.
    Forse un etica "di necessità" ma comunque etica.
    E con questo ritorno a leggere Les Cahiers du Cinèma in francese.
    Adieu

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  3. La sostenibilità e l'impatto zero sono fenomeni con ottimi principi e con idee valide. Il vero problema è riuscire a leggerne l'autenticità quando si vedono costruite queste architetture. Troppo spesso costruire sostenibile obbliga ad usare sistemi o materiali che hanno prodotto più anidride carbonica che lo stesso edificio a regime (concetto dell'energia grigia). Quindi sta nell'etica dell'architetto scegliere e saper scovare metodi "antichi" per fare nuovi edifici "sotenibilmente corretti".
    Una osservazione e una domanda che mi sento di fare è lo stile e l'estetica degli edifici sostenibili: potremmo dire che questa "estetica" di edifici architettonicamente sostenibili sia anche una nuova corrente architettonica?
    Dico questo perché le architetture sostenibili sono palesemente riconoscibili quando vengono progettate e costruite; le forme a volte addirittura standardizzate o quantomeno pilotate (leggi casaclima) o le tecnologie costruttive fanno si che vi sia una sorta di palese esplicazione dell'intento di volersi adeguare a questa "tendenza" legata a necessità di mercato, moda e etica dell'architetto responsabile.
    Pensandoci, oggi le architetture si potrebbero dividere in due correnti: le "Showarchitecture" (quelle delle archistar fatte per stupire e per andare sulle copertine delle riviste) e le "Sosteniblearchitecture" (quelle sopracitate).
    Tra le due correnti... potrebbe posizionarsi Renzo Piano.

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