giovedì 3 novembre 2011

Architettura povera

Al giorno d’oggi si associa sempre di più il termine architettura a costruzioni con connotati scenografici stupefacenti come i musei delle archistar o a edifici (ri)vestiti con materiali innovativi o facciate tecnologicamente avanzate. Non sto criticando le archistar (non oggi, non in questo post) e non metto nemmeno in dubbio la bontà costruttiva o l’estetica di queste opere architettoniche.
Sto pensando al tempo in cui stiamo vivendo, alle notizie della crisi che sta divorando l’economia attuale e sto pensando al futuro dell’architettura in un’Europa (o forse solo l’Italia) che stenta a dare opportunità ai giovani di comprarsi una casa e di trovare occupazione.
Architettura povera quindi.
Auspicare ad un ritorno dei “vecchi” principi costruttivi non significa fare architettura povera però. Recuperare le preesistenze, riutilizzare fabbriche (involucri, volumi) abbandonati o dismessi nel tessuto urbano potrebbe essere architettura povera?

La crisi porterà la popolazione a riutilizzare veramente le risorse costruite già a disposizione visto che il mercato immobiliare è letteralmente crollato? O forse negli anni passati il bisogno di immobilizzare capitali ha fatto si che vi siano villette, bifamiliari e palazzine per centinaia di nipoti e pronipoti?
Ma le mie domande stanno scadendo nella retorica e in un’insensata polemica.
Per architettura povera penso per una volta ai blocchi di pietra, ai mattoni di cotto, alle tavole di legno, alla carta e al cartone, le lamiere sottili, l’intonaco di calce. Di cemento ne userei poco, giusto per tenere “in piedi”; e poco ferro per le (ri)flessioni.
Penso alle costruzioni che servono ai bisogni primari cioè a ripararsi dai fenomeni atmosferici e dormire al sicuro. Yona Friedman nel suo Architettura di sopravvivenza parla di “mangiare, dormire, proteggersi e comunicare con gli altri”. Penso alle case di fango delle popolazioni africane o le palafitte dei paesi indocinesi.

Perché definirla architettura povera se assolve al più importante degli scopi che è quello di viverci all’interno al sicuro e protetti dalla natura? Assolve la funzione di contenere e proteggere gli individui e li fa socializzare.
La definiamo povera perché è il frutto di principi costruttivi semplici e composta da materiali umili come corde, fango, foglie o carta. Materiali che al giorno d’oggi , pur parlando di sostenibilità e reversibilità non conosciamo quasi più o nemmeno ci sogneremmo di utilizzare.
Quando oggi parliamo di sostenibilità, siamo già schiavi di qualche materiale isolante di derivazione chimica o di origine fossile. Stiamo già pensando all’utilizzo di software che modula elettricamente i brise-soleil quando c’è troppo sole o quando quest’ultimo viene oscurato da una nuvola.

Semplicità non significa povertà in senso di mancanza economica ma significa umiltà nell’utilizzo delle risorse, umiltà nell’applicazione dei principi costruttivi e significa anche sporcarsi le mani.
Anche le favelas pur essendo, socialmente degradate e sanitariamente pericolose sono architettura povera. Yona Friedman le rivaluta e addirittura le propone come dei modelli di sviluppo per le città del futuro senza auto e con orti dove poter fare orticultura di sussistenza.  Sostiene che le bidonville sono delle entità molto diverse dai villaggi rurali, le superfici non sono abbastanza grandi per produrre tutto il cibo necessario ma solo quello per la stretta sopravvivenza; gli abitanti sono una massa amorfa che si sposta continuamente e non hanno un impiego. Gli individui quindi, non avendo possibilità di migliorare la propria condizione sociale e non avendo accesso alla tradizionale economia del denaro, inizierebbero a decorare le case con i rifiuti della città industriale compiendo la definitiva rottura con la città ricorrendo al sistema del baratto. Questo significa, sempre per Friedman, la definitiva dichiarazione di indipendenza dalla "città povera".
Certo sono provocazioni forti ma ricordo che qualche mese fa, è comparso un articolo che raccontava di un concorso per riqualificare le favelas di Rio de Janeiro in vista dei Mondiali di calcio del 2014, nel quale 40 architetti si sono cimentati a fare le loro proposte per rifare il look alle favelas e a ridare loro una dignità sociale.

Certo se per architettura pensiamo solamente alle opere delle archistar con i loro vizi estetici e coi capitali delle fondazioni museali o dei ricchi collezionisti d’arte non possiamo vedere le bidonville come fenomeni dell’architettura spontanea che soddisfa le esigenze primarie della popolazione.
Pensiamo a Shigeru Ban che lavora moltissimo con la carta e il cartone tanto da averne addirittura pubblicato un manuale di calcolo. L’architetto giapponese ha anche pensato a un sistema costruttivo flessibile e leggero per le popolazioni colpite dai terremoti dell’Aquila e del Giappone. Piccoli semplici principi, architettura povera per le emmergenze.



Architettura povera può anche voler dire “non costruire”. Architettura a volume zero. Non è solamente quella che tutti oggi conosciamo come architettura del paesaggio. Per riqualificare un contesto urbano spesso non è necessario costruire o demolire. Lo studio slovacco Vallo Sadovsky Architects ha progettato, per una zona degradata sotto un cavalcavia di Bratislava, un intervento urbano senza volume. Ha creato Green Square una “piazza” colorata sull’asfalto della stazione degli autobus.


Ci sono tantissimi bravi architetti che usano principi semplici del costruire e materiali umili; ne cito uno che ha anche ricevuto il Pritzker Price: Glenn Murcutt. E di certo non è annoverato tra le archistar.

A volte basta davvero poco per fare l’architettura. E ritengo che oggi con la semplicità e l’umiltà, si potrebbe fare davvero tanta buona architettura.

All’inizio dell’anno al MoMA è stata proposta una mostra di architetture "povere" intitolata SMALL SCALE BIG CHANGE curata da Andreas Lepik. La mostra ha proposto le più innovative architetture pubbliche nei paesi in via di sviluppo e nei sobborghi delle metropoli.

Mi piacerebbe che in tanti suggerissero, nei commenti a questo post, un progetto che ritengono l'esempio di architettura povera.
Fatevi avanti!


D.C.

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