domenica 13 marzo 2011

Martini

Sono stato troppo didattico nel post sulle membrane. Dev'essere stata la paura di dire cose superficiali o di scadere nell'ovvietà. Non accadrà più, promesso. Mi lascerò andare un po' di più, impegnadomi a scrivere ciò che veramente mi ha spinto a fare questo blog: le mie elucubrazioni (Giacobbe le chiamerebbe seghe mentali..) sull'architettura e il mondo ad essa legato e tutto ciò che la contamina e la influenza.
Ma veniamo al post. Ho preannunciato un post sull'architettura tessile ma mi manca ancora un po' di materiale e quindi dobbiamo aspettare ancora un pochino.
Questo post nasce da un pensiero nato ieri pomeriggio ricordando una frase che mi piace tantissimo di Mies van der Rohe: "Architecture is not a Martini cocktail".


Documentandomi in realtà ho scoperto che questa frase è un pochino troppo semplificata. Infatti la frase di Mies è estratta da un discorso molto più profondo e complesso che riporto di seguito:

"One has a structural basis, and you may call it the more objective. The other [Le Corbusier's] has a plastic basis, which you could call emotional. You cannot mix them. Architecture is not a martini. Architecture is a language having the discipline of a grammar. Language can be used for day-to-day purposes as prose. And if you are very good, you may speak a wonderful prose. And if you are really good, you can be a poet. But it is the same language."

Queste parole sono molto più profonde che dire semplicemente "l'architettura non è un martini"!
Innanzitutto analizziamo la ricetta del Martini Dry (Mies intendeva sicuramente il Dry):
-8/10 di Gin
-2/10 di vermuth Dry
Il Martini si prepara aromatizzando il ghiaccio col vermuth, si prepara nel mixing glass e poi si filtra nella coppetta cocktail guarnita con oliva.

Pensandoci bene non è un cocktail così complicato da preparare. Ma Mies lo prende ad esempio proprio perché è un cocktail, quindi qualcosa che "semplicemente" compone alcuni ingredienti e li mischia. Ho scritto semplicemente tra virgolette per evitare che qualche lettore appassionato di Martini Dry mi fucili.
Mies intendeva dire che l'architettura non è semplicemente buttare tutta la propria conoscenza ed esperienza di architettura, shakerare e costruire. Ma è composizione, riflessione, capire le richieste del committente ed esaudirle; spesso anche ammettere gli errori commessi in precendenza.
Ma il Martini cocktail non è anche questo?
Per farlo bisogna sapere che il ghiaccio va solamente aromatizzato col vermuth e poi il vermuth va buttato. Bisogna essere in possesso di un mixing glass e di un filtratore e soprattutto per scenografia è obbligatorio il bicchiere a coppetta (se chiedete un martini dry non vi apettate mica il flut dello champagne!).
Quindi come al solito ho trovato la commistione tra cocktail e architettura.
Il progetto è composizione sapiente di ingradienti, quindi presuppone la conoscenza dei passaggi per costruirlo, il soddisfacimento di aspettative dell'utente finale, e poi la presentazione dell'opera completa.

Non era mia intenzione (e non lo sarà mai) contraddire Mies. Perché "Architecture is not a Martini cocktail" è sarà sempre così.

PS: consiglio un libro di Giovanni Longobardi: "L'architettura non è un Martini: aforismi del moderno", una simpatica raccolta di aforismi di architetti moderni.

2 commenti:

  1. mio caro junglebrain, io mio immagino esattamente il buon Mies vestito come Sean Connery a tracannarsi il suo buon Martini Dry. E si, anche per me si riferiva proprio al Martini Dry.
    Ma ti pongo un'altra questione: quando dice che l'architettura è un linguaggio composto da una grammatica, è così vero che non si può mischiare?
    Dopotutto noi utilizziamo un linguaggio spurio, bastardo...

    RispondiElimina
  2. Ebbene mio caro Sputnik hai perfettamante ragione. Oggi la velocià delle cose sta condizionando anche il nostro modo di parlare. Sempre più spesso si aggiungono nuovi termini al nostro vocabolario. Termini che derivano dall'inglese, dal fracese o dallo spagnolo ma non solo. Anche il linguaggio dell'informatica sta cambiando il modo di parlare o di comunicare. Anche la socialità sta cambiando, si pensi alla piazza che sta per essere (mio dio spero di no!) sostituita da facebook..
    Anche l'architettura sta cambiano proprio nello stesso modo. La tecnologia sta entrando sempre più spesso nel nostro modo di progettare e negli spazi interni degli edifici. Gli stili architettonici cambiano grazie alla potenzialità della computer grafica (si pensi a Zaha o a F.O. Gehry).
    C'è sempre più commistione. E a me non dispiace per nulla. Come diceva il nostro caro prof. Palterer: "create complessità"!

    RispondiElimina